PAOLA GAMBA il 14 aprile 2012 – Pravisdomini

Baudelaire nel necrologio a Delacroix afferma: “Non si dà in natura né linea né colore. A creare linea e colore è l’uomo. E queste due astrazioni attingono la loro nobiltà in pari grado da una medesima origine…”. In questa frase così dirompente per la cultura del suo tempo, lo scrittore associa linea e colore, cioè i due elementi della pittura astratta, che è quella di Paola Gamba, e li avvicina nella loro distanza dalla natura, anzi sono considerati essi stessi astratti. Il colore assume di per sé una valenza interiore è va guardato in quanto tale, senza riferimenti alle parvenze della realtà concreta. Qui vuole arrivare Paola Gamba, che con un gesto energico, l’occhio alla composizione, lavora sui suoi supporti a terra, girando attorno senza stabilire in primis un alto o un basso, una destra o una sinistra. In questa mostra vediamo soprattutto opere a pennello, le più recenti, variano un percorso, quello per lei agevole e giocoso dei collage, che ormai da un decennio la allontana dal figurativo (non comunque definitivamente abbandonato). L’idea è quella di fornire allo spettatore, attraverso le grandi macchie e i larghi colpi di pennello, intense emozioni coloristiche. Lontano dalle sue intenzioni, anzi direi proprio avulso, ogni proposito di rimandare nelle forme a oggetti o paesaggi. Le emozioni, prodotte dagli scatti obliqui del pennello che si richiudono spesso con un gesto secco e breve o che si slanciano in ampi movimenti di maggior respiro su campiture larghe, sono profonde, spesso laceranti o comunque forti: è pittura che non suggerisce, quanto piuttosto afferma ad alta voce i suoi intenti. La mia simpatia va soprattutto ai lavori in cui il blu domina: essi invitano a addentrarvisi con i sensi prima che col pensiero; qui lo sguardo non incontra ostacoli e si perde come se il colore si sottraesse all’infinito, aprisse un passaggio in cui infilarsi, d’altronde il blu smaterializza, toglie peso a ciò che vi si avvolge: ecco che i gialli, che si fanno verdastri, e i rossi creano compenetrazioni intriganti e affiorano atmosfere suggestive. Sono opere in cui l’impressione emozionale non è immediatamente forte come nelle altre, ma si fa più meditativa. Segnalo infine un altro pregio della pittura di Paola Gamba: l’uso di tinte pensate, cangianti, variate e diverse dai primari e secondari abusati da tanta pittura contemporanea che popola mercati e fiere d’arte. E’ un impatto che non scema al secondo e al terzo sguardo! Tiziana Pauletto

Giulio Belluz, una vita d’artista

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Merik: importante retrospettiva nella sua città natale

Portogruaro dal 19 maggio al 23 giugno 2013 (pubblicato su “Archivio” del mese di giugno 2013)

Domenica 19 maggio, con grande successo di pubblico e di critica, si è inaugurata a Portogruaro, città natale del pittore, la retrospettiva su Merik, Eugenio Enrico Milanese (1937/2010) dal titolo Merik – Opere 1960/2010.

La mostra, che presenta oltre 120 lavori, è articolata su cinque sedi: Galleria “Ai Molini” dove sono esposti Opere dagli anni ’60 agli ’80, Il paesaggio e Le tematiche socioculturali; Municipio – sala delle colonne, in cui è ospitata La produzione astratta dall’89 al 2010; Foyer della magnolia del teatro cittadino “Luigi Russolo” in cui è sviluppato il tema della musica molto caro all’artista, infine Casa Pasquale che contiene una raccolta di disegni.

L’esposizione, a due anni circa dalla scomparsa, è un omaggio al pittore, noto non solo nel territorio del triveneto ma ben conosciuto anche all’estero, che ha partecipato attivamente con la sua opera d’artista e le sue idee alle attività culturali della città e anche al cittadino che spesso ha colloquiato con autorità e giornali sui problemi legati al benessere del territorio.

Si tratta della prima presentazione sistematica della produzione dagli anni ‘60 alla morte, pur con alcune esclusioni tra le quali il filone dell’arte sacra e della ceramica, esemplificata in alcuni pezzi. Si potevano seguire varie direzioni di indagine o di allestimento. Una di queste era quella di concentrarsi unicamente sulla produzione più significativa e lirica di Merik: l’acquerello, in particolare su quei pezzi astratto-geometrici che giocano sull’assenza del colore o su quelli di piccole dimensioni spesso accostati a testi poetici. Si è deciso invece di esplorare tutta la sua produzione pittorica, almeno per una volta, augurandoci  che questa sia la prima di altre iniziative che abbiano lo scopo di restituire un’immagine efficace dell’artista e della complessità della sua natura.

Le opere esposte provengono quasi esclusivamente dalla collezione di famiglia: la presenza massiccia di materiale di buon livello ci ha convinto a fermarci alla casa di Enrico Milanese senza ricorrere alle numerose tele presenti in collezioni private e pubbliche nazionali ed internazionali.

Nel corpus degli oltre cento lavori una parte risulta essere stata premiata a concorsi od ex-tempore o ha partecipato a collettive, altri invece sono inediti. Essi sono stati selezionati nell’ottica di entrare nel mondo delle idee e dei pensieri estetici e negli studi dell’artista: si troveranno quindi anche alcuni pezzi non particolarmente riusciti, tuttavia essi sono esemplificativi di un passaggio e a volte dell’anticipazione di un tema approfondito in anni successivi.

All’interno di ogni sezione tematica non sempre i dipinti appartengono allo stesso periodo, ma talvolta un pezzo precorre di qualche anno una produzione successiva molto nutrita oppure questa viene ripresa più tardi.

Un’altra questione riguarda le tecniche impiegate dall’artista: egli, pur prediligendo l’acquerello, che è presenza costante lungo tutta la sua attività dal 1957 al 2010, utilizza spesso anche olio e acrilico.

Infine un accenno alla personalità di Enrico Milanese: uomo curiosissimo di tutti gli aspetti della realtà, ma particolarmente legato alla cultura storico-religiosa e artistica del territorio e della sua città. Animo facile ad infiammarsi nelle questioni che riguardano politica e società, innamorato della gioventù e, per ciò, attento ai bisogni dei giovani e al loro futuro, ma anche vicino agli anziani dai quali, dice, c’è tutto da imparare.

Melomane appassionato, suonatore di tromba, ama la musica classica e quella popolare, non solo italiana. Viaggiatore col taccuino degli appunti in cui raccoglie spunti per la sua pittura, poco incline a farsi “influenzare” dagli artisti che frequenta e di cui visita le mostre, in quanto sostiene la necessità che ciascun pittore debba trovare “il proprio alfabeto espressivo” o “…il proprio modo di esprimersi: un’originalità in grado di trasmettere attraverso la forma, sentimenti e stato d’animo.” (Eugenio Enrico Milanese, 2006)

 

L’ esposizione

Nell’intento di ricostruire la personalità e la storia umana, oltre che artistica, di Enrico Milanese si è preferito organizzare le opere pittoriche per temi o generi, piuttosto che secondo il classico ordine cronologico, serbando questo criterio per il gruppo di lavori che vanno dagli anni ’60 agli ‘80 e, per quanto possibile, all’interno di ogni sezione tematica. Questa operazione consente al visitatore di rendersi conto dell’incessante lavorio di pensiero di Merik e del riproporsi ciclico di alcuni temi fondamentali nella sua opera e, non ultima, della varietà delle tecniche da lui preferite.

Si è pensato di accostare alle opere del periodo ’60/’80 anche i paesaggi veneto-friulani degli anni successivi per una ragione di continuità con la produzione piuttosto massiccia dei primi venti anni. Le altre sezioni raggruppano il figurativo dal tema a sfondo socioculturale che affronta problemi, purtroppo attuali, con il sorriso dell’ironia e per i quali suggerisce anche soluzioni personalissime, la produzione astratta, da considerarsi quella più lirica e importante, la musica che si presenta in varie soluzioni formali dal figurativo tradizionale ad una scomposizione delle forme che richiama il ritmo e l’andamento delle composizioni musicali, infine il disegno, pratica assidua e costante che accompagna tutta la produzione pittorica come schizzo, appunto o progetto ma che vive di una propria incantevole autonomia nel segno pulito e senza pentimenti della penna stilografica, inseparabile amica dell’artista.

In ogni insieme compaiono generalmente due o tre opere vicine per ambito espressivo o tematico, scelte sulle numerose che spesso coprono più anni di produzione. Alcuni argomenti sono stati trattati dall’artista per brevi ma intensi periodi di lavoro, altri invece sono trasversali all’attività di molti anni.

Tiziana Pauletto

Il catalogo

La mostra è corredata da un catalogo/guida a cura di Tiziana Pauletto. Le 96 pagine, nelle quali si possono ammirare 80 opere a colori, sono organizzate per sezioni anche nella stesura del testo in modo tale che il visitatore possa “leggere” passo passo le opere. La parte iniziale ospita, oltre al tradizionale saluto dell’autorità cittadina, cinque pagine a memoria di cari amici del pittore che rendono un ritratto particolarmente felice di Enrico Milanese. L’apparato finale completa l’approccio all’uomo, oltre che all’artista, con una serie di scritti autografi che portano chi legge dentro le idee di Merik sull’arte e sulla società. Una biografia piuttosto dettagliata, l’elenco delle mostre e dei premi e un’antologia critica scelta tra i numerosi scritti sull’artista chiudono il catalogo. La fotografia è curata da Mario Santilli  e la grafica da Silvia Sarvese.

 

 

Eugenio Enrico Milanese

 

Eugenio Enrico Milanese, in arte Merik, nasce a Portogruaro nel 1937. Il suo ingresso nel mondo delle arti visive come pittore avviene nel 1957 quando viene selezionato per una mostra di giovani pittori veneti dalla Galleria Comunale di Venezia “Bevilacqua La Masa”. La circostanza gli fa conoscere e frequentare numerosi artisti. Negli anni Sessanta soggiorna per un lungo periodo in Svizzera e in Germania inserendosi nell’ambiente artistico dei due paesi. Partecipa quindi a molte collettive e organizza personali in varie città italiane ed estere. Parallelamente raccoglie anche numerosi riconoscimenti in concorsi di pittura nazionali ed esteri e le sue opere vengono acquisite da enti pubblici e privati.

Interviene spesso, con un impegno e successo riconosciuti, nelle manifestazioni culturali della sua città: Festival Internazionale di Musica da Camera di Portogruaro, Fiera di S. Andrea, Estate Musicale. Per questi eventi il pittore realizza illustrazioni di manifesti, stendardi a tema, opere su tela, ceramica, vetro.

La sua opera spazia dalle tecnica dell’olio all’acrilico, all’acquerello, dal vetro alla ceramica e, per quanto riguarda le tematiche, si muove con disinvoltura dal figurativo all’astratto geometrico, dal racconto satirico alla fiaba, dalla musica alla poesia: un particolare percorso è costituito dagli innumerevoli acquarelli associati a poesie di autori italiani e stranieri a lui particolarmente cari, non esclusi i dialettali. Muore nel 2010.

Sedi dell’esposizione

Galleria “Ai Molini” Dagli anni ’60 agli ’80 – Il paesaggio – Le tematiche socioculturali

Municipio, Sala delle colonne  La produzione astratta

Teatro “L. Russolo”, Foyer della magnolia  La musica

Casa Pasquale, Il disegno

 

Il catalogo si può richiedere alla famiglia Milanese

e-mail carlo.milanese@systecdesign.com

Tel. 0421 74348

Prossimi approfondimenti con stralci dal catalogo in queste pagine.

 

 

Luca Pezzotto e il suo Libertare

2011- Conosco Luca quest’estate tramite l’amico Roberto Raschiotto, che mi chiede se posso presentare il suo libro, Il mio Libertare e la sua mostra a S. Lorenzo di Arzene, il 3 agosto: beh, sono iniziate un’amicizia e una collaborazione che ci ha portati poi a Grizzo, Azzano X e qui a gennaio a Pordenone. Luca è un giovane speciale nella sua forza: malato dai 25 anni  di sclerosi multipla, riesce a vivere ogni giorno con gioia e determinazione, ben accompagnato da sua moglie Isa. La sua pittura, non scindibile dal suo credo,  è istintiva e parla di lui in modo immediato!

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Ecco la prima presentazione:
Luca Pezzotto, di Azzano Decimo, presenta qui due sue produzioni: quella pittorica e il  libro intitolato “il mio Libertare”. Quest’ultimo è piccolo, 62 pagine tra scritti e riproduzioni dei suoi quadri, alcuni dei quali qui esposti, ma importante. Esso spiega e racconta Luca nella sua vita attuale e contiene una vera e propria lezione di vita. Se vogliamo è una lettura facile, perché scritta con un linguaggio colloquiale, con uno stile diretto, ma allo stesso tempo impegnativa per le nostre emozioni e soprattutto mette in moto più di una  riflessione sulla qualità della vita.
Credo che il contenuto del libro sia una successione sorprendente di espressioni di un io che ha trovato ben presto le vere  ragioni dell’esistenza.
Veniamo alla pittura di Luca Pezzotto: la mostra è strutturata in una sorta di percorso stabilito. Inizia da una situazione di confusione disperata, scaturita alla notizia della malattia,  sclerosi multipla, passa per l’accettazione della realtà ed approda alla certezza della gioia, una gioia di vivere che si fa strada, pulsa, si impone sulla sofferenza.
La pittura di Luca è drammatica, non nel senso più comune del termine, cioè dolorosa ma nell’etimo greco antico, drama = azione. Certo non è indenne dalla sofferenza, che è segnalata dai bagliori rossi, che indicano secondo una simbologia istintiva ma anche storica la rottura, il sangue, il dolore e per contro però sono anche passione, amore.
Parlo di dramma perché quella di Pezzotto è una pittura di gesto, di movimento. La materia, malta e acrilico è stesa a colpi di spatola, rigata, graffiata, colpita da punte. Volutamente  fa spessore, si increspa, esce dalla superficie della tela, va verso chi guarda, e la luce sfiorando le pieghe accentua il movimento. Il colore è denso, saturo, va per accostamenti di caldi (dal giallo fino al rosso) colori delle emozioni forti  ai freddi (verdi e blu) colori della natura e del cielo, creando contrasti armonici che esprimono una grande vitalità, e anche gioia.
Questo è il messaggio da raccogliere: la vita va vissuta pienamente e non in modo passivo, va presa nel suo fluire cogliendone il positivo. Termino raccontandovi un episodio se vogliamo banale ma secondo me esemplificativo: qualche giorno fa ho parlato con Luca delle cornici dei suoi quadri criticandone la pesantezza, Lui mi risponde: “ Ho affidato i miei quadri al corniciaio chiedendogli delle cornici che esaltino il dipinto.” Gli rispondo: sono troppo appariscenti, troppo grosse, insomma si vede la cornice più che il quadro.
Lui, un po’ deluso,  a sua volta aggiunge: “ e non sai quanto sono costate…”
Non ci siamo accorti che parlando di cornici in fondo discutevamo di valori, quei valori che Luca ben conosce quando nel suo libro parla della malattia invalidante che toglie le forze e rende una persona non più valida per il modo odierno perché non efficiente fisicamente…
Spesso noi ci fermiamo alla cornice e perdiamo di vista quello che dobbiamo guardare e che vale veramente, il quadro. non facciamolo!

TRAME – Galleria Comunale G.T.Kennedy di Prata di Pordenone luglio 2010

Ecco alcune immagini. L’abbinamento dei miei muri con le opere di Francesca Sist che fa un pachtwork fuori schema è riuscita. Per quanto mi riguarda ho esposto una serie di muri e il primo Omaggio a Michelangelo, che troverà ulteriore sviluppo nella mostra di Limana dell’ottobre 2011.

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La mostra è stata presentata da me e rallegrata dalle musiche del quintetto  Il Fondaco Sonoro.

Di seguito l’apparato critico.

TRAME

Trame e orditi svelati da fili in libertà  o racconti sussurrati da muri abbandonati

Questa mostra nasce grazie ad un reciproco apprezzamento tra le due artiste che operano per certi versi in modo simile, anche se con materiali diversi, i quali presuppongono ovviamente tecniche di lavorazione proprie.

FRANCESCA SIST

Sonia Delaunay, importante creatrice di tessuti, i cui disegni erano talmente apprezzati a Parigi da suscitare la gelosia del marito, il più famoso Robert, pittore cubista,  ebbe a  dire : “C’è un’ingiustizia flagrante fra noi due, io sono stata classificata nelle arti decorative e non hanno voluto ammettere che  fossi una pittrice in ogni senso.”

Francesca Sist si occupa di tessuto, meglio di pachtwork, ma non per questo si deve considerare il suo lavoro qualcosa di strettamente “artigianale” o di prettamente femminile. Indubbiamente il patchwork si colloca in un ambito creativo di tipo artigianale, in quanto necessita di abilità pratiche specifiche, ma in quale arte ci si può cimentare se non si è abili nella sua tecnica? Eppure questa pratica, soprattutto se esercitata alla maniera di Francesca, cioè con modalità non tradizionali e non hobbistiche, può produrre arte.
 Facciamo un passo indietro occupandoci brevemente della storia  del  patchwork ovvero di quel lavoro con toppe di tessuto, o meglio, dell’assemblaggio di toppe di tela secondo un disegno prefissato.
La parola solitamente evoca nella gran parte delle persone  le coperte a pezze di derivazione americana o al massimo dei  pannelli decorativi da muro. Se è vero che il patchwork americano  oggi fa scuola in tutto il mondo, va detto anche che la necessità di trasformare materiali tessili di recupero in manufatti utili alla vita quotidiana è diffusa in tutto il mondo e ha origini antiche: dall’Africa occidentale dove si tessono nastri di tessuto assemblati in lunghe strisce  a creare coperte, turbanti e abiti, agli indiani dell’America centrale, fino ai kimono giapponesi.
 Il trapunto ha origini intorno al 5000 A.C. in Cina e in Egitto. Poi tocca al medioevo europeo che lo conosce grazie ai crociati che lo portano con sé dal medioriente.
 La trapunta da letto esiste già presso i Romani che la chiamano culcita e che  nel medioevo diventa una specie di insieme di copriletto e materasso che successivamente prende il nome di quilt. Un altro esempio di patchwork ante litteram è la maschera di Arlecchino. Nel 1600 i ricchi inglesi utilizzano i chintz indiani per le loro trapunte o per gli arazzi.
Il secolo d’oro è però il 1800 sia in Europa che in America: in Inghilterra prevale la trapunta composta da moltissime piccole toppe, a volte migliaia e addirittura si lavora insieme come in una gara allo stesso lavoro, per cui il patchwork assume anche un valore sociale.
In America, dove la tecnica si è trasferita nel 1700, essa si rinnova e soprattutto, quando con l’indipendenza le manifatture locali producono tessuti autonomamente, i lavori si fanno sempre più belli e creativi tanto da innovare l’intera produzione mondiale. In Inghilterra rimane la produzione a medaglione, mentre nel nuovo mondo si diffonde la composizione a riquadri.
 Nel ventesimo secolo gli americani fanno scuola e ormai da qualche decennio il patchwork si è slegato dall’immediatezza dell’uso pratico, inoltre molti musei espongono i lavori tra le altre opere di arte visiva.
Ed ora veniamo alle opere di Francesca Sist: l’artista conosce bene la tecnica al punto di decidere, dopo aver prodotto le tipiche composizioni geometrico/figurative, di andare oltre mettendo allo scoperto il processo di produzione, come dire che lascia vedere ciò che gli altri nascondono: il retro dei suoi lavori ha altrettanta importanza del fronte, non solo, i fili che uniscono le varie toppe, che solitamente vengono ordinatamente tagliati, accorciati, fatti sparire secondo un concetto di ordinata pulizia,  nelle sue “tele” sono invece parte in gioco essenziale, compongono l’immagine assieme ai ritagli di stoffa, la costruiscono e la caratterizzano. Da qui il titolo della mostra “Trame”…
Ordire la trama di un racconto significa decidere l’idea che lo conduce, crearne lo svolgimento principale, stabilire un inizio ed una fine, intrecciarne le azioni… Ecco: quest’operazione si manifesta nei pannelli dell’artista e viene svelata; non è coperta dai due ulteriori  strati (imbottitura e fodera)  che fanno di un lavoro di patchwork un’opera finita.
Per quanto riguarda le composizioni, anche in quest’ambito ci sono novità rispetto alla produzione tradizionale contemporanea spesso legata o a motivi figurativi o geometrici:  la pittrice, perché così credo si debba ormai definire Francesca, costruisce indifferentemente paesaggi o affronta il più difficile territorio della composizione astratta. Non soddisfatta dei tessuti che recupera, per gli ultimi lavori ha preparato e tinto lei stessa le stoffe, cotoni italiani sempre e solamente, ottenendo così scampoli di tessuto dalle varie gradazioni che combina in sfumature o per contrasto timbrico e che lega con quei fili che, sciolti e liberi da ogni comando, creano ulteriore movimento in composizioni già di per sé dinamiche.
E’ difficile non utilizzare aggettivi come “fine”, elegante”, un po’ troppo vicini al mondo della sartoria però è vero che, soprattutto le opere dove predominano i neri, sono intriganti,  affascinano particolarmente e perdono, pur essendolo, la sembianza del patchwork per assumere quella della pittura, di una buona pittura.

TIZIANA PAULETTO

Per quanto riguarda la mia pittura fornisco alcune note sotto forma di appunti e poi lascio la voce ad una giovane critica, purtroppo precocemente scomparsa, Caterina Fasolo.
I miei quadri, per ora, nascono secondo un procedimento a più strati: inizialmente preparo un fondo in acrilico, spesso figurativo, poi lo “rompo” con l’applicazione di carte veline da me acquerellate precedentemente, infine ritorno sulla superficie col pennello. Mi piace la “casualità guidata” con cui si comporta  l’acquerello sulla velina e che è parte determinante della mia produzione.
Ritengo i miei lavori una metafora dell’esistenza, credo di quella di tutti, senz’altro della mia: noi siamo come i muri delle case, costruiti più  o meno solidamente, e superiamo ostacoli, riceviamo aggressioni, ma anche godiamo di obiettivi raggiunti e di gioie, come un muro che più volte è ridipinto e rinnovato ma anche subisce le intemperie e risente del passare del tempo. Ecco allora che si formano crepe, che vengono riaggiustate e nelle quali si possono leggere le vicende di quel muro. Quest’ultimo inoltre “parla” di coloro i quali lo hanno frequentato… ma racconta anche di sé: noi siamo un sovrapporsi di esperienze che nel tempo si sedimentano, e a volte riaffiorano inconsapevolmente e sta a noi rielaborarle e agli altri “leggerle” e decidere se accettarle o meno. Lo scavo non finisce mai così come il cambiamento, la crescita è continua…
Sui muri infine spesso si posano ombre: di alberi, di uccelli, di passanti, di veicoli, di case… i nostri pensieri, quelle impressioni o sensazioni fuggevoli che pur hanno grande parte nella nostra quotidiana esistenza e che spesso vorremmo trattenere per goderle, ma l’ineffabile, (uso una parola forte) la felicità è incatturabile.

Prata, 4 luglio 2010                                                                                                                                                                              Tiziana Pauletto