NELLE CASE… si gioca, si suona, si sogna Gruaro, 29 agosto 2015

trasform tiziana pauletto

“Nelle case… si gioca, si suona, si sogna” è la mostra che raccoglie le personali di due artisti legati da amicizia e collaborazione: Pietro Barbieri e Tiziana Pauletto.
Il titolo, narrativo e riferito ad un quotidiano e spensierato trascorrere della giornata, appare poco “impegnato”, come a tradire una scarsa attenzione ai grandi problemi che oggi toccano l’umanità e gli Italiani. In realtà l’intento dei due artisti, che non sono affatto disimpegnati, e lo sa bene chi li conosce, è quello di scalzare l’umore grigio che pervade la società attuale, offrendo al visitatore un breve ma intenso viaggio delle emozioni attraverso la quotidianità, rimessa in gioco e ribaltata, affinché ciascuno arrivi al suo primo sentire e ridiscuta la diffusa visione pessimistica dell’esperienza esistenziale attuale.
Nelle case…
Cosa succede oggi nelle nostre case? Quali i pensieri dopo la visione di un telegiornale? Quali le occupazioni/disoccupazioni?
Attualmente il mondo degli adulti è disacerbato, rassegnato e vive il gioco triste, e spesso gretto, della convenienza, indotto a ciò dalla constatazione di una realtà mondiale violenta e aggressiva nelle manifestazioni e nelle ideologie e dalla consapevolezza di far parte di una società ai limiti della miseria, che spesso perde la bussola della morale e del buon senso.
Come si pone l’artista di fronte a questa situazione, che pur egli vive e sente fortemente? C’è chi denuncia, chi urla, chi distrugge, chi ironizza, chi capovolge: qui si sceglie la strada della leggerezza, ma non quella dell’inconsapevolezza, piuttosto quella del gioco dell’artista-bambino, che ribalta le parti, per far sì che il reale assuma le regole del gioco, il quale mima il reale stesso per darne una rilettura in chiave personale. In questa mostra si rivolge lo sguardo al di là dell’attuale opacità delle cose per guardare oltre e liberarsene.
Nelle case si gioca…
Il gioco è interruzione della quotidianità e invito alla pausa, non per evaderne, ma per riguardarla (la quotidianità) con occhi e pensieri più leggeri. Esso è qualcosa anche di più serio: all’origine del gioco degli artisti sta il desiderio, che è di tutti, di libertà, di fantasia e di ricerca (cito R. Caillois).
Chi gioca sa ribaltare la realtà.
Ma nelle case c’è e deve esserci la musica. Essa consola, rallegra, incupisce, scuote, opera sempre una catarsi nell’animo. Ognuno può “suonare” la propria musica, ossia può portare armonia nella sua dimora. Nelle opere, siano esse monotipi o oli che si riferiscono all’arte dei suoni, vi è la traccia di un’esperienza musicale diretta e personale che propone, attraverso la trasposizione in colore e forma, il ritmo l’armonia e la sonorità. Questi ultimi “passano” per gli occhi come musici intenti a suonare, spartiti, strumenti e, nella tecnica pittorica, coi timbri e le combinazioni dei colori, coi rapporti spaziali, con i ritmi delle linee.
Nelle case infine si sogna…
Sembra che oggi progettare il futuro, guardare avanti, fantasticare e immaginare, siano attività perniciose e poco utili, eppure molte grandi scoperte scientifiche sono avvenute grazie all’immaginazione!
Tutto e tutti ci spingono alla concretezza e alla monetizzazione del nostro operare e del nostro tempo.
Non togliamoci la capacità di sognare, di sovvertire, di “possedere” il nulla, di ricercare e divertirci col pensiero!
Scendendo nei dettagli di questa esposizione, il gioco è “fingere” muri nei quali nascondere immagini da cercare come in una caccia al tesoro: sono apparenze, e mi riferisco ai “muri” di Pietro Barbieri, che parlano di miti, di musica, di sogno, di allegria, portandoci oltre le cose. I monotipi di Tiziana Pauletto invece mettono in moto forme che “cambiano posto” e si trasformano, a suggerire come a volte basti spostare il punto di vista per “vedere” la realtà sotto un’altra angolatura.
Nel gioco dell’artista è prepotente la necessità di sognare: liberarsi dai legami della realtà per immaginarne altre è il modo per dominare la presente e superarla. Le opere di Barbieri e Pauletto ci propongono questo. I due artisti ne fanno un esercizio continuo e peraltro ci lasciano libertà di interpretare: ciascuno di noi può vedere oltre il quotidiano, può scegliere il proprio piccolo o grande sogno e portarselo “in tasca” verso casa.
E dentro le case…

T. P.

vai al link  https://youtu.be/LpTpFbn6mYQ

 

 

Il monotipo in mostra: Nelle case si gioca, si suona, si sogna…

Nelle case si gioca, si suona, si sogna…
Appunti sul monotipo
Gruaro 29 agosto 2015 via Roma Scuola secondaria sala del pianoterra
Il monotipo per me è innanzi tutto una modalità di pensiero e rispecchia, nel suo processo di creazione, la vita e la realtà delle cose: ci sforziamo di progettare e programmare la nostra esistenza, ci poniamo obiettivi e vogliamo controllare i nostri risultati, ma l’imprevisto cambia spesso le nostre previsioni. Il monotipo è una tecnica che dipende in una certa parte dalla casualità: umidità della carta e dell’ambiente, pressione del torchio, quantità di colore e altre variabili determinano il prodotto finale per cui il risultato è sempre una sorpresa. Il momento in cui si alza il foglio su cui si è stampato è intrigante ed è sempre atteso con una certa trepidazione: a volte l’attesa è ricompensata e altre delusa.
In quest’arte c’è un’infinità di somiglianze con la realtà umana, che ha molteplici sfumature ed è spesso impenetrabile: ti capita di notarlo quando sfrutti le impressioni “fantasma”, ovvero le stampe dalla stessa matrice successive alla prima, e le utilizzi per creare ulteriori composizioni che contengono il ricordo dell’iniziale ma presentano altre forme e aggiungono tinte che scolorano su quelle preesistenti in sfumature difficilmente ricreabili.
E’il monotipo lo specchio della vita che è, in ogni cosa e in ogni momento, unica e irripetibile: non è replicabile perché il supporto si perde e una seconda impressione del torchio non sarà mai uguale alla prima.
In secondo luogo questa tecnica consente massima libertà nel fare, perché si possono variare supporti e materiali adoperati per l’”impressione”, oltre che scegliere diverse modalità per ricavare immagini, siano esse concrete o astratte.
E’ un grande allenamento di composizione e di ragionamento, intesi anche come esercizio di previsione dei possibili esiti.
E’ un imparare ad affrontare delusioni: se penso a tutte le volte che ero convinta di aver costruito una serie di ottimi effetti e poi, alzato il foglio, c’era il pasticcio!
E’ inoltre una sfida con le proprie capacità nell’utilizzare materiali e colori lavorando “al contrario”: qualsiasi disegno infatti uscirà ribaltato.

La produzione che presento nella mostra di Gruaro va dal 2008 ad oggi ed è un campione di una parte del materiale stampato in questo arco di tempo. Gli esemplari esposti sono scelti tra serie di prove e molti fogli prodotti per ogni genere di immagine: non sono quindi gli unici pezzi relativi allo stesso lavoro.
Varie le tecniche sperimentate: da quella “a togliere”, usata per esempio da Matisse, a quelle per sovrapposizione. I supporti di matrice sono i più svariati così come le carte e gli altri materiali (tra questi la tela) su cui stampo, idem per quelli utilizzati per ottenere i vari effetti: cartoncino, stoffe, carta igienica, cartoncini di riciclo, legno, polveri,spaghi, ecc.
Preferisco il colore a olio agli inchiostri per la sua malleabilità e facilità di miscela.
Concludendo, il monotipo mi piace perché consente la massima libertà nell’uso del colore e nella composizione, è un “gioco” pensato.

In questa esposizione si possono anche vedere e toccare degli oggetti che sono rivisitati nel loro utilizzo attraverso il collage con miei monotipi: una sedia, una chitarra acustica, un pallone da basket e un piccolo puzzle a dodici cubi. Questi oggetti rispondono, come del resto le stampe, al tema della mostra: Nelle case si gioca, si suona, si sogna…
Mi piaceva l’idea di far riflettere sull’ambiguità che si genera quando un oggetto utilizzato per giocare, suonare o riposarsi, si trasforma in opera d’arte e apparentemente perde il suo scopo primario: è la nuova definizione che dà valore alla palla, alla chitarra e alla sedia o esse permangono nella condizione di utilizzo per cui sono state originariamente prodotte?
Si potrà suonare quella chitarra, ci si potrà riposare sulla sedia e si lancerà il pallone? La risposta è la stessa che genera il piccolo puzzle composto da sei monotipi che il pubblico è invitato a comporre: sì.
Il visitatore farà quello che preferisce: se avrà voglia giocherà con il puzzle, si siederà e suonerà la chitarra…

CARLO FONTANELLA il 14 aprile 2012 – PRAVISDOMINI Riflessioni per la presentazione della mostra

Carlo Fontanella ci coinvolge in un gioco di racconti e di rimandi, di ambiguità che rispecchiano non solo l’ambivalenza dell’esistenza individuale, ma anche della attuale società nel suo condurre una vita quotidiana, spesso contraddittoria nei principi stessi che la guidano. Vorrei soffermarmi in primis sull’aspetto esteriore delle opere: lo scultore sceglie una soluzione che sa di pittura nel proporsi in pannelli quadrati di spessore e consistenza simili alle tele Gallery, oggi comunemente adoperate dai pittori, di colore bianco; potremmo invece parlare di altorilievi per quanto le raffigurazioni sporgono dalla superficie del supporto e quindi di scultura. Di fatto però l’effetto della luce radente, tipico già di molta sua produzione, che dà vita e significato alle forme che lo scultore mette in essere, è pittorico nel digradare delle sfumature. Una seconda ambiguità sta nel collocare storie d’oggi in un biancore (non candido) che ci ricorda antichi rilievi consumati dalla pioggia o, in altri casi, geometrie neoclassiche, pulite e nitide, allontanando apparentemente la riflessione in una dimensione ideale, non concreta. Gli oggetti, ben riconoscibili, prendono il volo o comunque non hanno un contatto con la realtà (terra, cielo, pavimento, soffitto): sono sospesi – la libreria è a mezza terra, i libri volano, il pallone è bloccato in un riquadro…- essi acquisiscono valore simbolico, diventano idee. La lontananza dal concreto, e quindi la volontà dichiarata di proporsi come oggetti di pensiero e non come “ritratti della realtà” o manufatti decorativi, viene anche dai titoli, chiave di lettura dell’opera, volutamente coniugati spesso in latino e quindi non immediatamente decifrabili, non oggi almeno e non dalle giovani generazioni, come a dire che il messaggio va cercato: immagine e pensiero devono ulteriormente articolarsi nella mente dello spettatore che non può limitarsi ad una fruizione dell’opera immediatamente estetica o di sensazione. Una dimensione non trascurabile in questi lavori è inoltre il senso del tempo che se da un lato consiste nel tempo utile a “leggere” il racconto, da sinistra a destra o dal di fuori al dentro e viceversa, è anche quello del progressivo mutare della coscienza, del formarsi di un pensiero che in partenza era solo nella mente e nelle intenzioni dell’artista e che poi scivola ed entra nel bagaglio di idee del fruitore. Il passaggio avviene con dolcezza, quasi suggerito dalle forme avvolte dal bianco colore che Kandinskij definiva “una sorta di silenzio che potrebbe essere compreso”.

Tiziana Pauletto

DI SEGNO FAMILIARE – Limana (BL) 15/29 ottobre 2011

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Questa volta abbiamo esposto in tre, il maestro Mario Pauletto, ovvero mio padre, io e Simone, il mio primogenito, nelle belle sale travate e sorrette da colonne antiche in pietra del palazzo municipale di Limana, ridente paese del bellunese, noto per la sua fiera del miele.
Papà ha portato una serie di monotipi dal 1960 ad oggi (a proposito, tra febbraio e marzo, sarà stampato il suo manuale sul monotipo, credo opera unica in Italia, con 100 schede operative), io invece in una sala ho esposto alcuni muri in cui il  colore  si ispira alla musica e dei “bianchi sfiorati da ombre”, e in un’altra gli Omaggi a Michelangelo; Simone infine ha coniugato testi e fotografia in un gioco di allusioni non immediato, ma intrigante: per saperne di più visitate il suo sito, credo ne parli.
Ecco alcune immagini della mostra presentata da Giulio Gasparotti.
I QUADRI IN DETTAGLIO SONO NELL’ARTICOLO ACRILICI 2011 – vedi categoria acrilici 2010/2011

Alberto Pasqual e Walter Zaramella a Gruaro il 3 settembre 2011

Ecco di seguito la mia presentazione alla mostra dei due validi artisti e qualche foto delle opere. le foto sono di Mario Santilli

ALBERTO PASQUAL GRUARO 2011

Spesso oggi lo scultore che sceglie il metallo, in particolare ferro o acciaio,  compone le sue opere per assemblaggio, utilizzando parti d’oggetti o facendo produrre manufatti appositamente studiati: è l’arte del NON FARE, il NOT MAKING; in poche parole lo scultore è regista e progettista di un’opera che fa realizzare a chi è più bravo di lui nella tecnica della lavorazione del metallo. Non è così Alberto Pasqual che pur ha sperimentato la condizione di esecutore e compartecipe di un progetto, quello del monumento a Marco Pantani che si trova sulla salita del Montirolo in Valtellina, progettato da Michele Biz e Alessandro Broggio.

L’artista sacilese disegna e realizza le sue opere, attualmente e principalmente in ferro (ma lavora anche bronzo e terra), avvalendosi delle sue ottime competenze tecnico-esecutive legate alla professione che svolge: il fabbro.

Se si guarda la produzione artistica dal medioevo ad oggi, sono rari gli scultori che hanno scelto il ferro come materiale per esprimersi, tanto che esso, classificato nelle arti minori come “ferro battuto”,  dal XII secolo è stato utilizzato soprattutto per inferriate e cancelli fino alle decorazioni liberty,  e sono pochissimi i contemporanei cimentatisi nella scultura in ferro a tutto tondo. La ragione potrebbe essere legata  al suo peso che ne limita la manovrabilità, alla tendenza ad arrugginirsi, o forse, più probabilmente, alle difficoltà di lavorazione.

Uno dei valori aggiunti delle sculture di Pasqual sta nel mettersi alla prova con una materia non canonica e nel farla uscire con successo dagli usi consueti, sfruttando il fuoco per plasmare, modellare, tagliare, squarciare  il blocco come fosse materia docile, quasi una plastilina su cui un dito o un ferro deciso si imprime e scivola.

I pezzi di Pasqual si impongono per una potenza aspra, d’impatto tattile, e fanno scaturire sensazioni e ricordi di fucine, di sudore e visioni di fuoco.

Ed è proprio col fuoco che l’artista lavora  incidendo profondamente il blocco, che si articola in fessure profonde le quali aprono variamente, ma per lo più in linea retta, i volumi. Non si può certamente definire di superficie questa scultura! Lo scultore sacilese non fa parte di quella schiera di artisti che, alla ricerca della leggerezza, riducono il metallo in sottili lamine o fogli svolazzanti: egli lavora sullo slancio in verticale, sul longilineo, mi riferisco in particolare ai guerrieri, rispettando la fierezza  del ferro e agisce sulla sua massa, ma non toglie sostanza. Le sue figure, guerrieri o parallepipedi, sezioni di sfera, ecc. interagiscono energicamente con lo spazio circostante, fendono l’aria, la sferzano anche quando predomina lo sviluppo in altezza: essi si mostrano allo spettatore come monoliti forati e consumati dall’erosione di acqua e vento, come certi calcari carsici, metafore di una lotta strenua per la vita, riparati a malapena dal loro scudo e sprovvisti di elmo, privi  (o privati?) spesso degli arti, essenziali nel loro significato di resistenza.

Un filo robusto lega due produzioni apparentemente distanti, quella figurativa degli anni passati e quella geometrizzante “astratta” attuale, che è a mio parere, senza nulla togliere alla precedente, valida e comunicativa, molto più personale e intrigante: l’idea della guerra, e per contrasto  della vita, intesa come battaglia perla sopravvivenza. Ipezzi e i guerrieri sembrano la risultanza di uno scontro titanico, superstiti di una civiltà futura sconvolta i primi, quasi personaggi mitologici i secondi.

E’ un impatto che provoca lacerazioni, è la visione di ferite che lasciano guardare oltre i corpi squassati,  a volte il taglio si fa foro, oppure sono squarci che si rimarginano lasciando scanalature e abrasioni che articolano superfici lucide. Ne vengono effetti di bagliori e oscurità, di chiaroscuro accentuato che amplificano la drammaticità.

I tagli e le ferite quindi sono la sostanza, la parte ineludibile,  integrante e complementare, delle geometrie pulite di parallelepipedi e di cerchi, dallo scudo del guerriero alla sezione di sfera, come a dire che la nostra esistenza è insieme tranquillità e inquietudine, sistema e ribellione, sofferenza e serenità, unione e spaccatura.

Infine il colore: siamo abituati all’effetto delle terre e del bronzo, ma il nero del ferro, e la ruggine che assume varie sfumature, sono suggestivi; in particolare il nero, o l’effetto ematite nelle sculture lucidate, è potente, conferisce  ulteriore vigore  che produce uno scuotimento interiore, ben oltre i significati metaforico-simbolici, pur importanti, che l’artista dà ai suoi lavori.

Gruaro 3 settembre 2011                                                                   Tiziana Pauletto

WALTER ZARAMELLA GRUARO 3 SETTEMBRE 2011

Grigi colorati, bruni e ocre incontrano blu e azzurri cielo, fasce dalle campiture marezzate dischiudono nel loro cuore una figurazione apparentemente accennata: agglomerati di case, portoni di vecchie officine ormai dismesse, panni stesi sopra strette vie di borghi popolari, alberi maestosi ben ramificati, trattati a pennello e spatola. La zona centrale di ogni dipinto, nelle sue forme inizialmente non percepite come tali, ma come sensazioni di colore, affiora gradualmente alla consapevolezza dello sguardo, grazie alle tinte progressivamente più chiare dello sfondo. I bianchi, a volte lievemente colorati, altre volte candidi,  ben dosati e spesso trasparenti,  illuminanola scena. Lineeaccennate  da un pennello veloce e ripartizioni geometriche non invadenti disciplinano una materia informale. La generale predilezione per un andamento orizzontale dispone, assieme a tinte mai eccessivamente urlate, alla tranquillità e alla riflessione.

Un sussulto si  accenna quando l’occhio si approssima al centro più dinamico e costruito con  zone di colore sfrangiate e colpi di pennello o spatola o rullo,  che muovono la superficie fino a placarsi nelle zone marginali del quadro.

L’oggetto, che è argomento di ogni opera, si presenta quindi come un fantasma, una apparizione sfuggente all’occhio, ma forte e intensa che trattiene la visione e costringe l’osservazione ad una penetrazione progressiva, che suscita e porta in superficie emozioni o immagini a volte sepolte nel profondo.

Esse  emergono dal flusso ininterrotto dei ricordi, spesso vaghi e inafferrabili: è un portone di officina dove si riparavano le biciclette che ci riporta al lavoro d’artigiano che vi si svolgeva e al rapporto personale diretto tra  proprietario del mezzo e  meccanico. E quasi sentiamo i rumori, respiriamo l’odore di copertone, d’olio minerale, ci immaginiamo le parole e i discorsi sull’ultima partita della squadra locale, o sul maltempo ecc. che immancabilmente coinvolgevano i due, oppure sono lenzuola stese che ci recano voci di donne, e via così, fino ad alberi maestosi sotto i quali molti di noi hanno riposato, rievocanti una natura goduta e godibile… Insomma la nostra immaginazione viene catturata dai luoghi o dagli oggetti ricreati dal pennello di Zaramella e viaggia aiutata proprio da quelle figure accennate che non la obbligano in forme nette, guidata nelle sensazioni dalle pennellate e dalle spatolate che cancellano ciò che prima c’era. Il nostro è un viaggio libero, ciascuno con i propri personali ricordi e sensazioni, ciascuno nel suo microcosmo interiore, eppure comune a tutti nelle esperienze.

E’ un mondo lontano, sì, lontano nel tempo reale, ma vivissimo nella nostra mente, lirico nel suo presentarsi e modesto, quotidiano nella sua sostanza e perciò ci raggiunge.

Così come è carico di emozioni per l’artista, che ripercorre la sua infanzia, altrettanto importante è per noi in quanto ci riporta a un passato di rapporti umani semplici, veri e cordiali.

Non favole fanciullesche quelle di Zaramella, nemmeno dolciastre e inautentiche commemorazioni: lo dimostra il fatto che nella recente produzione vi siano riprese dall’alto di città moderne e navi all’attracco, testimoni dell’interesse per il contemporaneo e del sentirsi cittadino del mondo attuale.  Potremmo definire queste opere  “paesaggi della memoria e dell’inconscio”: essi scaturiscono credo dalla necessità condivisibile di fissare un passato o un ambiente, quando tratta della natura, sentito più autentico di quello in cui molti di noi vivono, ricreato nella certezza che pur essendo inafferrabile non può essere perduto.

Una situazione simile ma diversa, a mio parere, nei contenuti concettuali, si ricrea in alcuni lavori recentissimi in cui l’impressione visiva è che tutto si muova molto velocemente e fugga da noi come se la dimensione temporale fosse accelerata e ci trovassimo a carpire di quel che passa solo alcune vestigia, in un tentativo improbabile di fermo-immagine. Questi paesaggi ci calano nell’attualità dai ritmi accelerati, che non consente di vivere profondamente ma costringe alla superficie. E’ un percorso appena iniziato, preludio di un ulteriore passo verso la pittura astratta e in direzione di nuove dimensioni di pensiero? Attendiamo con curiosità gli sviluppi.

Gruaro 3 settembre 2011